Anche le statistiche, nonostante siano fatte da numeri di per se oggettivi, possono essere interpretate a seconda degli orientamenti di chi le riporta.

Ecco allora interessante leggere l’articolo di Repubblica Milano che diffonde alcuni dati dell’organismo di sorveglianza sanitaria sui dipendenti comunali.

Ogni due anni la normativa impone che i dipendenti del Comune siano sottoposti a visita medica per verificare le loro capacità lavorative.

L’ultimo controllo, svolto dai medici del San Raffaele nel 2015, mette in evidenza che una percentuale significativa di lavoratori e lavoratrici (precisamente il 23,6%) soffre di patologie certificate che ne limitano le funzioni e quindi vengono addetti a lavori più “leggeri” rispetto a quelli che normalmente svolgevano.

Franco Vanni, che firma l’articolo, è veramente abile, Senza dirlo, riesce subdolamente a instillare nella testa di chi legge un senso di disagio nei confronti dei lavoratori del Comune di Milano, anzi di vera e propria ostilità.

Ecco allora che le malattie professionali diventano tattiche da “furbetti del cartellino”. Stare in piedi per ore ed ore, per anni e anni, a guardia della sala di un museo e avere mal di schiena, lavorare in strada nella manutenzione dell’asfalto e avere l’artrite, non sono sufficienti per rivendicare un alleggerimento del carico di lavoro.

Di più il fatto che l’età media dei dipendenti comunali sia molto al di sopra dei cinquant’anni (prodotto delle politiche di blocco del turn over dei governi che si sono succeduti in tutti questi anni) sembra, per il nostro Vanni, non avere influenza sullo condizioni di salute dei lavoratori.

Così come, altro argomento sollevato nell’articolo, è ovvio che se un lavoratore ha più di cinquant’anni è abbastanza probabile che abbia genitori di 70/80 anni. E’ quindi comprensibile che vi siano situazioni in cui la necessità di accudire i propri familiari (anche perché sono sempre più inaccessibili i servizi di cura pubblici, quando vi sono) sia inevitabile come inevitabile diventa l’utilizzo dei diritti garantiti dalla legge 104.

Un operazione, dicevamo, subdola che si muove sul sentire popolare contro i “garantiti” del pubblico impiego che hanno la grave colpa di rivendicare diritti che dovrebbero essere inalienabili.

Subdola e anche sospetta. Solo pochi giorni prima il sindaco Sala aveva attaccato i lavoratori della polizia urbana milanese per il numero troppo elevato di personale che stanzia negli uffici e non scende in strada e l’intera giunta si sta confrontando con l’indizione di uno sciopero generale dei lavoratori del Comune per il prossimo 3 febbraio (il primo da vent’anni a questa parte) che protestano contro la delibera del governo della città che diminuisce il numero di assunzioni in pianta organica.

Alcune altre riflessioni vanno aggiunte. Il lancio mediatico sulla firma del contratto nazionale dei dipendenti pubblici, avvenuto poco prima del referendum costituzionale, si è rivelato ben presto fumo. Si è in realtà ancora in alto mare e il tentativo di rinfocolare una propaganda contro i “garantiti” del pubblico impiego è assolutamente pericolosa.

Di più è di questi giorni la proposta del ministro dell’interno Minniti, subito appoggiato dal nostro Sala, di fare dei profughi i tappabuchi delle mancanze di organico delle amministrazioni locali. Una proposta indecente e di stampo schiavista ma che potrebbe aiutare le deboli finanze di pressoché tutti gli enti locali.

La campagna avviata contro i lavoratori e le lavoratrici del Comune di Milano si colloca quindi all’interno del quadro dell’attacco generale ai diritti di tutti i lavoratori.

E’ importante allora che lo sciopero del 3 febbraio, un segnale netto contro questa politica, riesca e da parte nostra faremo il possibile perché attorno ai lavoratori del Comune cresca solidarietà

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