Tre operai morti, un quarto lavoratore in fin di vita, tre intossicati: una strage. Una strage della guerra tra capitale e lavoro. Non vogliamo entrare nel merito delle “responsabilità”, non ci interessa sapere se l’azienda sia o non sia rispettosa delle normative per la sicurezza del lavoro o se i padroni della Lamina Spa siano buoni o cattivi.

I morti sono il prodotto del profitto e dello sfruttamento capitalistico, punto. Sono il prodotto della subordinazione, spesso conclamata e rivendicata, delle coscienze dei lavoratori e delle lavoratrici alla logica di morte intrinseca nel modo di produzione della nostra società.

Se il lavoro è pericoloso è pur sempre lavoro. Se il lavoro inquina l’ambiente e provoca morte tra i lavoratori ma anche tra la popolazione dell’area circostante il sito produttivo, è pur sempre lavoro. Se si producono armi e strumenti di morte è pur sempre lavoro. Se mi danno una occupazione perché sono disponibile ad accettare condizioni più arretrate di altri lavoratori è pur sempre lavoro.

Il tempo della crisi e la totale subordinazione delle grandi organizzazioni sindacali alle logiche padronali di questi ultimi decenni hanno creato un vuoto di coscienza e, soprattutto, affidato ai singoli il compito di trovare una soluzione alla necessità di sopravvivenza. Il problema che la soluzione può essere solo collettiva.

E’ probabile che nei prossimi giorni vengano lanciate iniziative di mobilitazione in risposta a questo eccidio e noi ci saremo. Ma non sarà sufficiente. Occorre invertire la marcia e riprendere un percorso di lotta generale contro il capitale. Occorre che i lavoratori e le lavoratrici prendano in mano collettivamente il loro destino. Occorre che il potere sia del popolo.

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