di Giorgio Simoni

Più si analizzano in dettaglio i contenuti della legge di bilancio per il 2019 e più si ha conferma del suo carattere antipopolare, del fatto che essa non porterà alcun beneficio ai lavoratori e alle lavoratrici.

Tra le misure negative, è da segnalare il “congelamento” di fondi ministeriali per un valore di due miliardi di euro, disposto dai commi 1118-1120 e dall’allegato 3 della legge. Si tratta di una sorta di “clausola di salvaguardia”, prevista per siglare il compromesso con l’Unione europea. Le somme vengono infatti accantonate e rese indisponibili per la gestione, e potranno essere utilizzate solo se la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, nel mese di luglio, confermerà che gli andamenti tendenziali dei conti pubblici risulteranno coerenti con il raggiungimento degli obiettivi programmatici per l’esercizio 2019.

A farne le spese, è soprattutto il trasporto pubblico locale, che si vede bloccare 300 milioni del Fondo nazionale ad esso dedicato, una quota pari al 5,4% della dotazione complessiva. Le Regioni e gli enti locali si troveranno di fronte a un dilemma: o ridurre i servizi sin dalle prossime settimane, assumendosi in pieno la responsabilità di un taglio normativamente solo eventuale; o attendere l’esito delle valutazioni sui conti pubblici a luglio, rischiando però di trovarsi senza copertura finanziaria piena per i servizi svolti nella prima metà dell’anno. La terza alternativa sarà quella di un aumento generalizzato delle tariffe, per compensare la riduzione dei contributi pubblici.

Il trasporto pubblico di nuovo sotto attacco

In ogni caso, una scure incombe sul trasporto pubblico locale e farne le spese saranno i lavoratori e le lavoratrici e i settori più poveri della società, in termini di minori servizi, di maggiori tariffe, o di una combinazione di questi due elementi. Ciò è tanto più grave, se si considera che la crisi ecologica che minaccia il pianeta, e in particolare i cambiamenti climatici, richiederebbero invece fortissimi investimenti per trasferire quote importanti di mobilità dall’automobile al trasporto collettivo.

Per quanto riguarda la Lombardia, l’entità dei fondi da trasferire congelati, secondo una stima attendibile, sarebbe attorno ai 50 milioni di euro. Risorse in meno che cadono in un contesto nel quale, da un lato, la compagnia ferroviaria Trenord ha fatto scattare, dallo scorso 9 dicembre, un piano che prevede la soppressione di 350 treni; dall’altro i servizi urbani e interurbani di autobus, tram e metropolitane faticano a soddisfare la crescente domanda di mobilità.

L’incertezza sulle risorse condiziona, inevitabilmente, il lavoro degli enti deputati alla pianificazione. Il Programma approvato lo scorso 10 gennaio dall’Agenzia di bacino di Milano, Monza, Pavia e Lodi prevede, ad esempio, due diversi scenari, definiti rispettivamente “alto” e “basso”. Quest’ultimo, che consente rispetto al primo un risparmio di 13 milioni di euro all’anno, viene ottenuto riducendo di due ore l’arco giornaliero di servizio sulle reti esterne al capoluogo regionale (Relazione generale, pag. 144).

Tagli ai servizi e aumento delle tariffe

Tradotto in parole povere, in questa ipotesi del Programma di bacino, tutte le autolinee che escono dai confini del Comune di Milano dovrebbero terminare il servizio alle 22, se classificate come “principali”, e addirittura alle 20, ove “secondarie”. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i cittadini, le cittadine e gli amministratori di comuni come Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, e tanti altri, abituati ad avere autobus attivi fino a mezzanotte e spesso anche oltre.

A ciò si aggiunge l’intenzione del Comune di Milano di “fare cassa” attraverso un aumento del costo dei biglietti e degli abbonamenti ben superiore al tasso di inflazione (ne abbiamo già parlato qui, e qui).

Ma la situazione è simile anche nel resto d’Italia. A Torino, dove le tariffe sono aumentate già dallo scorso luglio, l’azienda pubblica Gtt e la giunta Appendino hanno varato un piano industriale «che non rilancia l’azienda, la riduce di  organico, esternalizza chilometri a vettori privati, e alla fine del  triennio frammenterà GTT rendendola facile preda per le società private», secondo quanto denuncia il sindacato USB, che ha indetto uno sciopero per il prossimo 16 gennaio (dopodiché facciamo fatica a capire, anche alla luce di ciò che abbiamo appena scritto sulla legge di bilancio, come USB possa affermare che le tesi dell’attuale governo siano “apparentemente favorevoli alla nazionalizzazione e non alla privatizzazione”).

Politiche di austerità: nessuno è innocente!

A Roma, per fare solo un altro esempio, sventata fortunatamente l’ipotesi di privatizzazione di Atac, e approvato da parte dei creditori il piano di salvataggio, i problemi e le carenze del trasporto pubblico sono però ben lontani dall’essere risolti.

Nelle prossime settimane, assisteremo sicuramente a un rimpallo di responsabilità tra governo nazionale, regioni ed enti locali, rispetto ai provvedimenti che colpiranno gli utenti del trasporto pubblico. Ne abbiamo già avuto un assaggio, nelle schermaglie degli scorsi giorni tra Regione Lombardia e Comune di Milano sull’aumento delle tariffe.

Occorre sottrarsi a questo gioco, e affermare che tutte le forze politiche che hanno avuto negli ultimi vent’anni ruoli di governo, nazionali e locali, hanno le medesime colpe, avendo attuato le stesse politiche di austerità, taglio della spesa e dei servizi, privatizzazione.

Mobilitiamoci!

E neppure può essere credibile, come oppositore a questo governo, il Partito Democratico (e i suoi satelliti), che, governando una città come Milano, propone un vertiginoso aumento delle tariffe del trasporto pubblico (provvedimento annunciato, si badi bene, molto prima che fosse noto il congelamento dei fondi nella legge di bilancio).

Molti comitati sono nati sul tema dei trasporti pubblici. Nella maggior parte dei casi, si tratta di aggregazioni spontanee di cittadini e cittadine, sulla base di rivendicazioni di carattere locale. Il Comitato ATM Pubblica di Milano, al quale partecipiamo, rappresenta invece un esempio di raggruppamento di forze politiche, sociali e sindacali, con una piattaforma che mette al centro il rifiuto della privatizzazione dei servizi e ha lanciato una campagna contro l’aumento delle tariffe.

E’ necessario lavorare per far crescere questo tipo di strutture e per un loro coordinamento, su base locale innanzitutto, e idealmente su base nazionale, nell’ambito di una piattaforma che si fondi sulla richiesta di servizi a prezzi accessibili o gratuiti, di un forte investimento pubblico per il loro potenziamento, sulla tutela delle condizioni di lavoro nel settore.

Foto di Derek Clarke

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