Anche in Lombardia, negli ultimi giorni, sono numerosi gli scioperi spontanei di lavoratori e lavoratrici che non ritengono tutelata la propria salute nelle fabbriche e negli uffici, in relazione all’emergenza virale.

«Stiamo discutendo con le aziende per capire come affrontare questa situazione. Registriamo scioperi in quattro o cinque realtà» ha detto giovedì il segretario della Cgil di Brescia Francesco Bertoli. «Ci sono aziende anche grandi che si sono fermate, mentre altre che per motivi di commesse legate a penali, sono in difficoltà e non possono sospendere la produzione. Il nostro obiettivo è quello di riuscire ad ottenere quantomeno delle riduzioni di orario per garantire la sicurezza agli operai».

Una dichiarazione da cui però emerge l’immagine di un sindacato che “registra” gli scioperi, anziché proclamarli o sostenerli, e che si preoccupa delle eventuali penali che le aziende potrebbero pagare a causa di ritardi nelle commesse.

Si muovono i sindacati, meglio tardi che mai

Solo nella giornata di giovedì 12 marzo, i sindacati nazionali dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto di «concordare fermate produttive “coperte” innanzitutto con strumenti contrattuali o con eventuali ammortizzatori sociali ove previsti dalla normativa». In mancanza di ciò, hanno dichiarato «l’astensione unilaterale nazionale nell’intero settore merceologico, a prescindere dal contratto utilizzato». A copertura, hanno indetto lo sciopero per tutte le ore necessarie.

Sul fronte dei sindacati di base, USB, a livello nazionale, ha indetto a far data dal 12 marzo un primo pacchetto di 32 ore di sciopero generale dei settori industriali, non essenziali, per ogni turno di lavoro. Le richieste sono il blocco temporaneo di tutte le attività industriali ad eccezione di quelle strettamente collegate alla lotta alla pandemia, l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, con l’integrazione piena del salario, l’adozione, e il controllo degli organi preposti, di tutte le misure necessarie corrispondenti ai livelli di rischio legato alle specifiche situazioni lavorative.

Ha scritto su Il Manifesto Moni Ovadia: «Perché solo gli operai possono essere non protetti o meno protetti? Perché il pensiero al diritto ad essere protetti dal contagio non viene automaticamente esteso agli operai? Perché sono necessarie proteste, scioperi e dure dichiarazioni sindacali perché la questione diventi all’ordine del giorno?
Perché la classe operaia viene trattata come la casta dei paria, la classe che è la spina dorsale dell’economia produttiva e, adesso che la logistica assume un’importanza cruciale, anche i lavoratori superproletarizzati di questo settore che vengono sfruttati con ritmi e condizioni sconci.
E adesso, che tutto il Paese ha la necessità di essere messo davvero in sicurezza, una volta di più gli ultimi nei confronti dei quali si pensa ad estendere il diritto alla sicurezza sul posto di lavoro, ecco che sono i lavoratori industriali. La classe operaia è stata ed è uno dei pilastri istitutivi di ogni grande democrazia, la sua cultura fondata sul lavoro non solo come mezzo di sostentamento, ma come condizione della dignità personale e sociale ha innervato le conquiste più significative delle società più avanzate».

Scioperi spontanei nelle fabbriche

A dire il vero, le «dure dichiarazioni sindacali» sono state ben poche e per lo più tardive. In molti casi, i lavoratori e le lavoratrici avevano già deciso di propria iniziativa di fermare la produzione.

Alla Corneliani Spa di Mantova, che produce abbigliamento, lo sciopero spontaneo è iniziato giovedì e si protrarrà fino a lunedì. I 450 lavoratori dello stabilimento protestano contro la decisione del Governo di non procedere, almeno in Lombardia, anche al fermo di tutte le fabbriche che non facciano materiali di contrasto al coronavirus.

Sempre giovedì, lo sciopero è scattato anche alla Bitron di Cormano. «Ci aspettavamo che Conte avesse riguardo per i lavoratori. Invece per Conte il virus si ferma davanti ai cancelli delle fabbriche: si è piegato al volere di Confindustria», ha dichiarato Lorena Tacco, un’operaia della fabbrica, in un video trasmesso dal palinsensto L’aria che tira di La7.

Alla Iveco di Suzzara si era scioperato già nella giornata di mercoledì. «Da lunedì chiediamo il rallentamento della produzione e lo scaglionamento delle pause – spiega il segretario della Fiom Cgil Marco Massari – . Visto che non c’erano ancora le condizioni di sicurezza abbiamo allontanato i lavoratori sin dal mattino per poi proclamare sciopero per l’intera giornata».

Whirlpool e Tenaris

Sempre mercoledì erano scesi in sciopero i lavoratori e le lavoratrici dello stabilimento Whirlpool di Cassinetta a Biandronno (Varese). La decisione è stata presa dalle Rsu dopo che la multinazionale americana dell’elettrodomestico ha risposto negativamente alla richiesta «di una più accurata gestione dell’emergenza Coronavirus».

Alla Tenaris di Dalmine, c’è stata una lunga assemblea pomeridiana. Rsu e Rls hanno chiesto ai vertici aziendali la sospensione di tutte le attività lavorative per prevenire i contagi da Coronavirus sottolineando che molti lavoratori «per problemi di salute, per problemi di gestione familiare o per mancanza di serenità mentale, sono a casa in malattia o in ferie. Sugli impianti ci sono organici sempre più ridotti e le persone sono sempre più sotto stress con seri rischi per la sicurezza delle persone. Inoltre scarseggiano anche alcuni DPI e prodotti per igienizzare le superfici rendendo ancora più difficile la gestione della situazione».

Alla Relevi, azienda chimica in provincia di Mantova, che produce profumatori per wc, deodoranti per la casa, antitarmici e candeggine, da mercoledì gli oltre 330 dipendenti sono in stato di agitazione con blocco degli straordinari. Il motivo: la richiesta del doppio turno straordinario sulla giornata di sabato per alcune linee non a ciclo continuo.

Chi chiude e chi no

Vi sono anche aziende che hanno deciso per proprio conto la sospensione dell’attività produttiva, probabilmente con un occhio particolare al calo della domanda, più che alla salute dei lavoratori. In questo caso la preoccupazione dei dipendenti riguarda soprattutto il mantenimento del salario o, specialmente nel caso dei precari, dello stesso rapporto di lavoro.

E’ il caso, ad esempio del colosso dei fast-food Burger King, che in Lombardia gestisce 62 ristoranti, e che in tutto il territorio nazionale ha abbassato le saracinesche da giovedì 12 marzo.

La società IT Almaviva ha deciso di «sospendere entro le prossime 72 ore tutte le attività dei lavoratori nei propri call center sul territorio nazionale, oltre 5 mila, che non possano essere gestite attraverso smart working, remotizzando l’operatività presso il domicilio dei lavoratori, modalità già adottata da 3.500 dipendenti del gruppo nel settore IT». A quanto ci risulta, in questo caso la decisione è stata presa dopo che gruppi di lavoratori si erano rivolti alle forze dell’ordine per denunciare l’assoluta mancanza di prevenzione dal contagio nei luoghi di lavoro.

Nel settore della distribuzione, chiusi i negozi e grandi magazzini di Apple, Geox, Calzedonia, Rinascente e Coin. Nel metalmeccanico, Brembo ferma gli stabilimenti in Italia (nelle aree di Bergamo e Brescia) dal «16 al 22 marzo». Chiusa, dalle 22 di martedì, anche la Alfa Acciai di San Polo (Brescia).

Tuttavia, la posizione padronale predominante è ancora quella di non fermare la produzione. «Per Federacciai la linea è chiara – ha ribadito ad esempio il direttore dell’associazione Flavio Bregant -. Le aziende che possono garantire i criteri di sicurezza richiesti dal governo possono continuare a produrre. Ovviamente vi sono gli opportuni distinguo, come evidenziato dalle numerose chiusure annunciate negli ultimi giorni. Anche il clima in fabbrica tra i lavoratori è un elemento chiave per questo ogni azienda decide sulla base delle proprie caratteristiche. Resta il fatto che la nostra linea generale non cambia».

I servizi pubblici sotto stress

Anche il settore dei servizi pubblici è investito dall’emergenza infettiva.

Primi fa tutti, le lavoratrici e i lavoratori della sanità, costretti a turni massacranti e in condizioni di fortissimo stress, dopo anni di tagli e riduzione degli organici. Rimandiamo al nostro articolo «La sanità lombarda al tempo del coronavirus».

Nella scuola, le lezioni sono sospese sino al 3 aprile, e con esse le riunioni degli organismi collegiali. Tuttavia, in una nota, giovedì 12 marzo, i sindacati Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, sottolineano che non appaiono «strettamente indispensabili né dunque giustificabili, in assenza di attività didattica e quindi di alunni e docenti, le prestazioni del personale ausiliario, mentre il lavoro degli uffici di segreteria e quello degli Assistenti Tecnici da tempo avviene quasi totalmente operando su sistemi informatici, una modalità che ben si presta, in questa fase di drammatica emergenza, all’attivazione temporaneo di forme di lavoro agile e a distanza».

Altro tema caldo è quello del trasporto pubblico locale. Sulla spinta anche di un’ambigua ordinanza di Regione Lombardia, molte aziende hanno deciso di adottare un forte taglio dei servizi. Per quanto riguarda Milano, da lunedì 16 marzo i mezzi pubblici circoleranno sempre secondo l’orario previsto nei giorni festivi, con una riduzione delle corse pari al 47% in metropolitana e al 42% sulle linee di superficie. Sarà inoltre completamente soppressa la rete notturna. Falcidiato anche il servizio urbano di Monza, con corse previste ogni 30 minuti. Tagli anche per le linee interurbane: nell’abbiatense, la società STAV applicherà l’orario previsto nei giorni di sabato, senza le corse scolastiche, di fatto dimezzando il servizio; nel nordovest milanese Movibus si muoverà secondo gli orari normalmente previsti per il mese di agosto.

Tali scelte sono state duramente criticate dal sindacato A.L. COBAS – CUB Trasporti, che ha scritto giovedì al Presidente della Regione Lombardia e al Sindaco di Milano. Nella missiva si legge che la riduzione dei servizi di trasporto è «un grave errore, se non accompagnato dal blocco obbligatorio (non volontario) di tutte le attività produttive non essenziali. Tale riduzione, infatti, provocherà l’aumento dei passeggeri a bordo di ogni vettura, aumentando esponenzialmente i rischi di contagio tra gli utenti e per i lavoratori. Il prezzo, ancora una volta, verrà caricato sugli utenti e sui lavoratori del settore che, privi di ammortizzatori sociali (se non un debolissimo e inadeguato fondo bilaterale di solidarietà), saranno collocati prima in ferie obbligatorie, poi a salario estremamente ridotto».

Su posizione opposte i sindacati autonomi UGL-FNA e FAISA-CISAL, che hanno chiesto «di considerare concretamente la sospensione del trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano nel territorio lombardo per almeno 15 giorni».

Approfondimenti

Rimandiamo, per approfondire le tematiche della lotta di classe ai tempi del coronavirus, a due articoli apparsi sul nostro sito nazionale:

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