di Fabrizio Burattini

Le recenti insinuazioni di Joe Biden sull’ipotesi circa le origini del Covid-19 (fuoriuscito da un laboratorio di Wuhan piuttosto che trasmesso in qualche modo “naturalmente” dal pipistrello alla specie umana) hanno ricevuto un’accoglienza ben diversa da quella che avevano avuto le analoghe affermazioni fatte non più di un anno fa da Donald Trump (assieme ai “terrapiattisti” di QAnon e ai vari falchi destrorsi).

Lo stesso tanto osannato direttore dell’Istituto statunitense di malattie allergiche e infettive (Niaid), l’italo americano Antony Fauci, che era entrato in collisione frontale con l’ex presidente Trump, ora avalla autorevolmente le dichiarazioni dell’attuale presidente.

Quello che la stampa liberal di tutto il mondo considerava un tassello della cospirazione della destra basata su di una fobia pregiudizialmente anticinese, una congettura strumentale finalizzata ad acuire le tensioni con il gigante asiatico ora viene assunto come una seria supposizione, anche se, oggi come allora, non esistono prove a sostegno.

Come peraltro non esistono prove che possano escludere una tale eventualità. E’ ormai noto che i laboratori di microbiologia, in Cina come in tutto il mondo, conducono ricerche sui virus e in particolare sui coronavirus, con lo scopo dichiarato di capirne i meccanismi di trasmissione da una specie all’altra e per prepararsi in anticipo a fare fronte ad eventuali epidemie.

Il laboratorio di Wuhan

Peraltro, poco più di un mese fa, un’indagine indipendente aveva rivelato che il laboratorio di Wuhan su cui graverebbero i sospetti era da lungo tempo impegnato in una collaborazione scientifica con analoghi centri di ricerca statunitensi attraverso un’organizzazione medica statunitense EcoHealth Alliance e, in particolare, proprio con il famoso virologo Fauci.

Le voci su fughe di virus o su ricercatori accidentalmente infettatisi con le sostanze che stavano maneggiando sono state frequenti, ma nessuna fonte ufficiale ne ha mai confermato la sostanza. Perché in realtà nessuno, perlomeno tra coloro che potrebbero avere gli strumenti per approfondire la questione, sembra veramente interessato a scoprire la verità e a farla conoscere al mondo.

Non lo era Trump, non lo è Biden, non lo sono i governanti dei paesi dell’Unione europea pronti ad allinearsi alle dichiarazioni del potente alleato transatlantico. Non lo è l’OMS. Ma sembra non esserlo neanche la Cina. E certamente non lo sono i principali media.

All’opinione pubblica viene raccontato solo ciò che fa comodo ai detentori dei poteri politici, economici, commerciali e scientifici. D’altra parte, un’inchiesta veramente indipendente sulla questione non è mai stata seriamente ipotizzata da nessuno perché potrebbe mettere a rischio la credibilità di buona parte delle élite politiche, mediatiche e scientifiche e persino la base ideologica su cui poggia il loro potere.

La conversione dei media da Trump a Biden

La repentina conversione di gran parte dei media dall’attribuire una totale strumentalità all’ipotesi trumpiana al credere a scatola chiusa alle dichiarazioni di Biden ci consente di capire come le classi dominanti e i loro mass media esercitano il proprio potere narrativo per controllare ciò che pensiamo, torcendo qualsiasi narrazione a loro vantaggio.

La verità è in gran parte irrilevante, l’importante è l’illusione della verità, il farci credere che i governanti (Biden a livello planetario, la UE per il nostro continente, Mario Draghi per noi…) governano nel nostro interesse, per la “giustizia, per “crescita” e per il “progresso”.

Probabilmente non si saprà mai la verità sull’origine della pandemia. Ma l’importante è che si sappia che, se un ruolo umano nella diffusione del virus c’è stato, esso possa essere attribuito ai cinesi, che si tratti delle loro discutibili abitudini alimentari o del loro pressapochismo primitivo nella gestione delle ricerche scientifiche.

D’altra parte i mass media non hanno mai avuto particolare zelo nell’analizzare le cause capitalistiche delle innumerevoli catastrofi ecologiche degli ultimi decenni, quasi sempre attribuite all’incontrollabile “errore umano” e mai al modo di produzione e al modello culturale e sociale: dalla diffusione di sostanze altamente radioattive e inquinanti in tutti i principali teatri di guerra del pianeta, alla nebbia mortale di Bhopal del 1984, alla nube di diossina di Seveso del 1976, alle migliaia di milioni di litri di petrolio sversati in mare dalle petroliere, a partire dalla Exxon Valdez del 1989, alle gigantesche discariche di rifiuti sparse in tutto il mondo e, in primo luogo, nei paesi poveri, alle mastodontiche isole di plastica che galleggiano nei mari e negli oceani, allo spaventoso inquinamento di tutti i fiumi del mondo, ai disastri nucleari di Three Mile Island, Tokaimura, Fukushima.

E, ovviamente, su tutti, al riscaldamento globale con tutte le sue conseguenze.

Lo stesso disastro nucleare di Chernobyl e il fallimento anche ambientale del modello sovietico affondano le loro radici nell’idiozia della “competizione pacifica” con l’occidente e con il suo paradigma “sviluppista” e, in fin dei conti, anche culturale e sociale.

La corporazione dei giornalisti, ma anche quella degli scienziati dipendono strettamente (salvo meritevoli ma limitate eccezioni) dai finanziamenti, pubblici o privati che siano, ma che vengono comunque da fonti molto interessate alla conservazione dell’esistente.

Per non parlare naturalmente dei politici.

Anche l’analisi sulle cause profonde della pandemia non approderà mai alla verità, che risieda nel laboratorio cinese, nell’impazzimento del virus di un pipistrello o in un complesso di altre spiegazioni.

L’illusione della verità prevarrà ancora sulla verità. E il mondo continuerà a fare gli stessi errori. E se ne parlerà alla prossima pandemia o al prossimo disastro.

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