Da “Corriere della Sera – ed. Milano”

C’è solo da staccare la spina, prospetta la Procura, è inutile far finta che prorogare l’agonia della Pedemontana lombarda abbia un senso, anzi più si lascia girare il tassametro dell’autostrada in teoria in project financing (e cioè a carico dei privati) e più sarà salato il conto finale per i contribuenti. Ma quando mai, ribatte la società controllata dalla Serravalle (a sua volta controllata dalla Regione): Pedemontana ha il requisito della continuità aziendale, non versa affatto in stato di insolvenza, e finirà le tratte mancanti (da Cermenate all’innesto con la A4) da collegare alle tre sinora realizzate (due tangenziali di Varese e Como, e 22 km. da Lomazzo a Cassano Magnago).

Il confronto si svilupperà dal 24 luglio davanti al giudice Guido Macripò ora che i pm Filippini-Pellicano-Polizzi hanno chiesto al Tribunale Fallimentare di dichiarare il fallimento di Autostrada Pedemontana Lombarda (APL), di cui fino ad aprile è stato presidente l’ex pm di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, chiamato dal presidente della Regione, Roberto Maroni, che più volte ha detto di volersi ricandidare proprio anche «per poterla vedere finita e inaugurare».

Per i pm, Pedemontana difetta della continuità aziendale ed è in insolvenza. Perché? Intanto ci sono i debiti: 150 milioni da restituire alla controllante Serravalle e soprattutto 200 a un pool di banche (capofila Intesa e Ubi), debito prorogato dieci volte ma che ogni anno costa alla società la liquidazione degli interessi.

Poi, sempre sulla scorta di una relazione del loro consulente Roberto Pireddu, i pm sostengono che all’attivo non ci sarebbero in realtà i numeri che la società indica: un po’ perché alcune poste sarebbero sovrastimate (come i pedaggi in realtà inferiori della metà rispetto al previsto), e un po’ perché altri attivi sarebbero tali solo sulla carta, cioè non mettibili davvero a reddito (come gli stati di avanzamento lavori) in quanto la società non sarebbe più in condizione di conseguire il proprio oggetto sociale in assenza del  miliardo e 800 milioni necessari per terminare l’autostrada e una volta che tutto il primo finanziamento di 1,8 miliardi è stato già assorbito dalla realizzazione delle prime tratte.

Inoltre i pm pongono il problema che l’appaltatore austriaco Strabag, proprio per la stasi nei lavori, stia contabilizzando i ritardi sotto forma di «riserve» messe a credito verso la società: da qui contenziosi enormi, dei quali uno (fino al 2013) è già costato una proposta di 61 milioni da parte di una apposita commissione tecnica, mentre si accumulano già ulteriori contenziosi per i successivi 4 anni.


Il nostro commento

Finisce così, ingloriosamente, una grande opera fortemente voluta da Regione Lombardia, sotto il governatorato di Roberto Formigoni prima e Roberto Maroni dopo, inserita nella legge obiettivo nel marzo del 2003 (esecutivo Berlusconi II), trasversalmente sostenuta tanto dal centrodestra che dal centrosinistra.

Un’autostrada che avrebbe dovuto attraversare la Brianza, devastandone i territori, figlia di un modello di mobilità fortemente incentrato sull’automobile, e, come tutte le grandi opere (Mose, TAV, Terzo valico…), segno della subalternità dei poteri pubblici agli interessi della frazione dominante delle imprese di costruzioni.

Un progetto che, per quanto realizzato solo in minima parte, lascerà in dote pesantissime ricadute economiche su Regione Lombardia, centinaia di milioni che dovranno essere trovati per chiudere il buco dei debiti cumulati, e che saranno i cittadini a dover pagare, ovvero i lavoratori e le lavoratrici, che nel nostro paese sopportano la maggior parte del carico fiscale.

Servirebbe una netta inversione di rotta, a partire da una diversa concezione della mobilità, con lo sviluppo e il potenziamento del trasporto pubblico, a prezzi accessibili per gli utenti, con la manutenzione e il miglioramento della rete viaria esistente. E invece vengono lasciate senza soldi le Province, dissanguate dai prelievi imposti dai governi Renzi e Gentiloni, e si azzerano di conseguenza gli interventi manutentivi e rischiano di fermarsi da un giorno all’altro gli autobus dei servizi interurbani.

Ma questa inversione di tendenza non l’avremo da governi che sono l’espressione compiuta degli interessi del Capitale, né dalle forze politiche, di centrodestra e di centrosinistra, che li sostengono. Dovremo conquistarcela con la mobilitazione e con le lotte, nella prospettiva di un cambiamento rivoluzionario, per una società egualitaria ed ecosocialista. (g.s.)

Photo credit: Marco Varisco

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