Milano è destinata a cambiare nel prossimo decennio? Molto, a vedere i progetti che coinvolgono milioni di metri quadrati: spazi immensi, che cambieranno la città. Area Expo (1,1 milioni di metri quadrati con Human Technopole, il nuovo Ospedale Galeazzi e la sede delle facoltà universitarie scientifiche), Scali ferroviari (1,2 milioni di metri quadrati), Bovisa Gasometro (850 mila metri quadrati), Aree Falk e Città della Salute (1,4 milioni di metri quadrati con l’insediamento dell’Istituto Tumori e dell’ospedale Besta). Certo questo a Sesto San Giovanni, ma sempre Città Metropolitana è, con costruzioni che si susseguono senza soluzione di continuità tra i due comuni.

 Se poi ci aggiungiamo le altre trasformazioni in corso o progettate a Città Studi, a Citylife, a Fiera Milano City, alla Piazza d’Armi, nell’Ex Trotto e nel cantiere di Milano Santa Giulia a Rogoredo, il cambiamento diventa ancor più radicale. Ma in peggio! Per Milano stanno progettando il futuro con tanto cemento ma senza alcuna visione strategica globale, sui servizi e sui trasporti, più attenti al business privato che al bene comune dei cittadini.

Ora ci mancava proprio il cavallo di troia del nuovo stadio per Inter e Milan a sommarsi a tutto il resto. Che cosa ci sarà mai nelle 750 pagine che Milan e Inter hanno depositato a Palazzo Marino: forse nuovi progetti, che permettono di realizzare il vero affare, che non è lo stadio: 180 mila metri quadrati di spazi commerciali, 66 mila di uffici, 15 mila di hotel, 13 mila per intrattenimento, 5 mila di spazio fitness, 4 mila di centro congressi.

Lo stadio è utile alle squadre, ma solo se serve a costruire tutto il resto, vero core business dell’operazione!

LE SCATOLE CINESI CHE STANNO DIETRO ALLE DUE SQUADRE

Secondo gli esperti finanziari, nel caso di Milan e Inter, abbiamo oscure catene di comando che si perdono nei paradisi fiscali delle Cayman, del Delaware, del Lussemburgo. Proviamo a seguire i percorsi tortuosi delle azioni.

L’azionista di maggioranza dell’Inter è Suning Holdings, società cinese di Zhang Jindong, che possiede il 68,55 per cento. Il 31 per cento dell’Inter sta alle Cayman, controllato da Lion Rock Capital, il fondo di Hong Kong guidato da Daniel Kar Keung Tseung, che ha acquistato le quote di Tohir.

La proprietà del Milan è un enigma ancora più grande. Il cinese Li Yonghong ha pagato alla Fininvest oltre 600 milioni per avere la squadra e poi l’ha persa perché non è riuscito a trovarne altri 32. Così il Milan è diventato, americano: del fondo Elliott Management, che detiene il 99,93 per cento della squadra attraverso la lussemburghese Rossoneri Sport Investment Lux. La faccia che non cambia mai è quella di Paolo Scaroni, il più berlusconiano dei manager italiani, presidente del Milan e vicepresidente di Rothschild. La banca d’affari che, guarda caso, aveva garantito l’affidabilità finanziaria di Mr. Li.

Quello che è chiaro invece è che i bilanci tanto del Milan quanto dell’Inter sono in rosso. Che cosa c’è di meglio, allora, di una grande operazione immobiliare per rimettere in sesto i conti? Ci ha pensato Goldman Sachs: la banca d’affari, che ha preparato il piano finanziario dell’operazione San Siro. Lo studio di fattibilità è stato messo a punto da Yard, sviluppatore immobiliare. Resta da segnalare un’altra stranezza del “Modello Milano”: nel gruppo di chi ha trattato con Sala per far riconoscere “l’interesse pubblico” all’operazione, c’è Ada Lucia De Cesaris (ora in Italia Viva), ex vicesindaco e partner dello studio legale AmmLex, che lavora per le squadre ed è stato fondato da Guido Bardelli, già presidente della ciellina Compagnia delle opere.

SALA ALLA RICERCA DELL’INTERESSE PUBBLICO

La Giunta del Comune di Milano, lo scorso 28 ottobre, “ha deliberato il pubblico interesse alla proposta di Milan e Inter sullo stadio San Siro, ma eventuali altre opere (spazi commerciali, uffici, hotel) saranno autorizzate solo nella misura prevista dal corrente PGT di Milano”.

Inoltre dice Sala “la costruzione di un nuovo impianto sportivo lascia aperto la questione sul futuro di San Siro“, “la nostra volontà di rifunzionalizzarlo e pertanto siamo pronti a valutare soluzioni che non prevedano la rinuncia all’attuale impianto, bensì la sua rigenerazione attraverso altre funzioni”.

Traduciamo: la giunta di Milano dice si al nuovo stadio tentando, per contare qualcosa, di porre dei paletti sulla parte “non sportiva” del progetto, evitando di demolire l’attuale stadio. E’ la vecchia storia dell’urbanistica contrattata, che lascia di solito al pubblico un pugno di mosche in mano ed al privato il suo business sostanzialmente intatto. Non solo, il pubblico fornisce al privato per un piatto di lenticchie sia i permessi di costruzione  che l’area dove costruire. E l’interesse pubblico va a farsi benedire.

E ancora è credibile per Milano avere due stadi se pur con funzioni diverse? E in questo progetto quanto pesa veramente il bene comune e quanto il business privato da 1,2 miliardi di euro?

A CHI SERVE IL NUOVO STADIO?

In definitiva per i cittadini non sarebbe meglio ristrutturare l’attuale San siro?

Il progetto di ristrutturazione esiste. Si chiama Re-thinking San Siro (ripensare San Siro) e prevede un’operazione in sei fasi. La prima: smontare l’attuale copertura. La seconda: demolire il terzo anello, realizzato nel 1990. La terza: rimuovere sette delle undici torri aggiunte nel 1987, lasciando soltanto le quattro agli angoli. Quarta fase: rinnovare il primo anello. Quinta: costruire un nuovo edificio sul lato ovest, che possa ospitare bar, ristoranti, spazi commerciali, sale per incontri e altre funzioni. Sesta e ultima fase: installare la nuova copertura.

 Gli spazi interni sarebbero riorganizzati, con la costruzione di sale vip, uno store di 750 metri quadrati, un museo di 1.000, un ristorante panoramico, bar, una nuova sala stampa. I posti a sedere, che oggi sono 79.344, alla fine dei lavori sarebbero 58 mila, con 8.150 posti “premium”.

Rinnovare “la Scala del calcio”, dunque, si potrebbe. Ma non se il vero obiettivo è costruire grattacieli. Naturalmente anche in questo caso il costo dei biglietti delle partite si impennerebbero a dismisura.

La Giunta di Milano torni a pensare di più alle periferie e soprattutto a ristrutturare i complessi di case popolari ridotti a favelas!  Ma anche i cittadini milanesi dovrebbero pensare un po’ meno al pallone e un po’ di più alla Milano sociale se non vogliamo che la lotta per il potere la vincano sempre i ricchi a tavolino, senza neanche poter giocare la partita.        

Solo attraverso la partecipazione sarà possibile riportare gli interessi della collettività e non più quelli della speculazione privata nella Milano del futuro.          

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