Di Igor Zecchini

Tra poco sarà il primo maggio. Una data emblematica per il mondo del lavoro e per gli sfruttati e le sfruttate tutte, Una giornata che, negli ultimi anni,  mette in luce la grande difficoltà di fronte alla quale si trova il movimento dei lavoratori colpito da una crisi durissima e prolungata, che si sposta continuamente dal piano sociale a quello politico e viceversa senza che, su nessuno dei due terreni, si mostri la minima capacità di saper rispondere all’offensiva padronale.

Il jobs act del PD (approvato anche con i voti di Bersani e compagnia) ha dato un colpo mortale ai lavoratori e alle lavoratrici, soprattutto ai e alle giovani, al sud ma anche al nord e nella nostra Lombardia, e la complice inazione delle organizzazioni sindacali maggioritarie ha fatto il resto.

Il precariato, attraverso mille sfaccettature, è oramai il padrone assoluto della condizione giovanile e anche le assunzioni, poche, nominalmente a tempo indeterminato, sono oggi in realtà esposte al pericolo costante del licenziamento e quindi al ricatto totale sulle condizioni di lavoro.

E gli altri, i lavoratori e le lavoratrici che continuano ad avere un posto di lavoro da più lunga data, subiscono ogni giorno nuovi attacchi. Sono decine e decine, solo attorno a Milano, le aziende “in crisi” e in via di smantellamento e centinaia e centinaia i lavoratori e le lavoratrici che stanno perdendo il posto di lavoro.

Non importa se la crisi in realtà è solo fame di maggiori profitti per i padroni (perché molto spesso si tratta di aziende non decotte o in perdita, ma siti che vengono dismessi per essere aperti in altre luoghi dove i lavoratori sono più ricattabili), oppure situazioni in cui i padroni, hanno abbondantemente attinto dai finanziamenti pubblici utilizzando i nostri soldi per costruire altrove occasioni di profitto.

K-Flex, GE, Alstom, INNSE, IBM, Direct Line, Almaviva, solo per citare le più conosciute, sono state o sono tuttora situazioni di lotta che coinvolgono numeri importanti di persone. Situazioni che o sono state sconfitte o corrono il rischio di esserlo a breve perché la risposta è al di sotto del bisogno.

Ognuna di queste vertenze viene tenuta rigorosamente isolata l’una dall’altra in modo da impedire una saldatura delle lotte e quindi una anche minima possibilità di vittoria. Si giunge addirittura, è il caso dell’INNSE, a sconfessare i propri iscritti togliendo loro le coperture sindacali (ed esponendoli quindi alla più dura repressione della proprietà),  se questi si ostinano a non condividere la linea delle compatibilità con le esigenze padronali portata avanti anche dalla FIOM di Landini. E così una a una le teste dei lavoratori e delle lavoratrici cadono sotto la mannaia dell’offensiva padronale.

Occorrerebbe unificare le lotte stimolando anche l’insieme del movimento operaio a sostenerle ma soprattutto cambiare totalmente l’approccio delle mobilitazioni. Non si può continuare a chiedere che si trovi un’altro padrone e chiederlo a istituzioni che spesso sono colluse con chi le aziende le chiude.

Occorrerebbe lottare, anche con strumenti di lotta radicali, per la nazionalizzazione delle aziende che vogliono chiudere e/o delocalizzare, tanto più se sono state foraggiate dai soldi pubblici. La questione si pone in modo più determinato oggi dopo l’esito del referendum Alitalia (vedi comunicato sul sito nazionale) che mostra chiaramente che i lavoratori e le lavoratrici possono opporsi alla svendita del loro posto di lavoro.

Ancora di più occorrerebbe riaprire la madre di tutte le vertenze, quella che ha dato origine al 1° maggio: la battaglia per la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di paga come risolutiva misura in difesa dell’occupazione.

In questo quadro il 1° maggio milanese è la rappresentazione massima di questa difficoltà. A una rituale manifestazione dei sindacati confederali, che non da alcuna risposta alle drammatiche esigenze del mondo del lavoro, si contrappongono ben tre (3) manifestazioni convocate da sindacati detti di base e alcuni centri sociali.  Da alcune settimane si sprecavano appelli e convocazioni di riunioni “unitarie”, riunioni n cui in realtà non c’erano margini di trattativa. Ognuno/a voleva imporre la “sua” convocazione come quella a cui si dovevano aggregare gli altri.

Una prima manifestazione si svolgerà a partire dalle 11 del mattino da Via Esterle in zona Padova su questo appello noi ci siamo  con l’adesione di USB e altri, una seconda partirà alle 15 da Piazza Loreto per attraversare anche questa zona Padova su questo secondo appello Fai Si Cobas Cub SGB e infine una terza partirà dalle ore 15 da Piazza XXIV maggio su questo ultimo appello Milano in Movimento.

Così, dopo la stagione delle “may day”, interrotta degli incidenti del 1° maggio 2015, si è avviata la stagione degli orticelli, quella in cui, in barba a tematiche e obiettivi che potrebbero essere largamente in comune, ognuno/a cerca la dimostrazione della sua forza soggettiva nel tentativo di imporre con la forza dei numeri (che così facendo non potranno comunque essere alti) il proprio predominio.

Questo 1°maggio in particolare arriva dopo che le direzioni aziendali di K-Flex e General Eletric hanno praticamente chiuso ogni spazio di trattativa rendendo operativi i licenziamenti. Dopo la scoppola che i lavoratori e le lavoratrici dell’Alitalia (anche negli aeroporti milanesi) hanno dato a governo e sindacati confederali sarebbe stato possibile avere una alternativa di piazza significativa che ponesse al centro l’unificazione delle lotte e la loro radicalizzazione. La strada imboccata è esattamente l’opposto di questa necessità. Vi sono responsabilità maggiori o minori per questa situazione, ma sempre responsabilità.

Sinistra Anticapitalista, pur non aderendo formalmente a nessuna di queste iniziative, sarà presente con il proprio materiale a tutte le manifestazioni per ribadire la necessità di aprire un percorso unitario.

 

 

 

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