Meno corse di metro, autobus e tram, con biglietti e abbonamenti più cari: è questo il desolante quadro che si potrebbe trovare di fronte, nei prossimi mesi, chi utilizza i mezzi di trasporto pubblico.

Andiamo con ordine.

Il governo ha presentato al Parlamento, nella prima decade di aprile, il Documento di economia e finanza (Def). Il testo, di cui parliamo più ampiamente sul nostro sito nazionale, prosegue con le politiche dell’austerità imposte dalla Commissione europea, come già la legge finanziaria dello scorso dicembre che, aldilà dei proclami sovranisti, aveva ridotto a poca cosa gli stanziamenti per le misure del reddito di cittadinanza e di quota 100 e aveva previsto un piano di privatizzazioni da 18 miliardi su base annua, e l’incremento di oltre 52 miliardi a regime dell’IVA.

Non solo, la legge di bilancio aveva inserito anche una sorta di clausola di salvaguardia sulla spending review, ovvero la riduzione automatica della spesa pubblica al peggioramento del bilancio. Tra le voci considerate, una quota pari a 300 milioni di euro del Fondo nazionale trasporti, il 6,2% del suo ammontare complessivo.

Oggi, con la predisposizione del Def, la clausola automatica è scattata e i fondi congelati si sono definitivamente consolidati come minori spese. Non a caso, finora erano stati distribuiti alle Regioni, competenti sul trasporto pubblico locale, solo 3,9 dei 4,9 miliardi che costituiscono il Fondo nazionale, riservandosi di liquidare il saldo “al netto delle risorse che risulteranno eventualmente definitivamente accantonate” (decreto interministeriale 82 del 5 marzo 2019).

Le Regioni, ora, minacciano di sospendere i servizi a partire dal mese di dicembre, per mancanza di soldi. Più realisticamente, dovranno mettere in piedi un piano di tagli, come già avvenuto più volte in questo decennio. Ecco, dunque, perché presto potremmo trovarci con meno treni, metropolitane e autobus in circolazione. Per la Lombardia, in particolare, la riduzione delle risorse ha un valore di oltre 50 milioni di euro su base annua. Come termine di paragone, si tratta di un terzo della spesa annua per il funzionamento delle linee 1, 2 e 3 della metropolitana di Milano.

Siccome le disgrazie non vengono mai sole, Milano ha pure il privilegio di avere per Sindaco quel Beppe Sala, che sin dal suo insediamento cominciò a perorare la necessità di portare il prezzo del biglietto del trasporto pubblico a due euro. Questa intenzione si appresta a diventare realtà, poiché lo scorso 10 aprile la competente Agenzia di bacino ha approvato il Sistema tariffario integrato del bacino di mobilità (STIBM).

Assieme a un ridisegno delle “corone” nelle quali si divide il territorio di Milano e dell’hinterland, il nuovo sistema porta con sé un forte aumento delle tariffe, specialmente per i cittadini della metropoli: il biglietto ordinario passa da 1,50 a 2 euro, l’abbonamento mensile da 35 a 39 (ma quest’ultima cifra dovrà essere confermata da una delibera del Comune di Milano, perché quanto approvato dall’Agenzia prevede al momento un costo di 43,50 euro). Spariranno alcuni titoli particolarmente convenienti, come lo storico e molto usato biglietto “due viaggi per sei giorni”.

Ma – dicevano i sostenitori del nuovo menù tariffario – il vantaggio sarà quello dell’integrazione: con un solo biglietto o abbonamento si potrà finalmente utilizzare qualsiasi mezzo pubblico, sia esso treno, metropolitana, tram o autobus.

E qui viene il bello (si fa per dire): proprio l’integrazione tariffaria con il treno è rinviata a data ignota, a seguito del mancato accordo “politico” tra Comune di Milano e Regione Lombardia. Sotto la pressione del Comune di Milano, che spinge per incassare quanto prima i maggiori introiti derivanti dall’aumento delle tariffe, l’Agenzia di bacino ha dovuto approvare, contestualmente al sistema integrato, l’avvio di una “prima fase attuativa”, limitatamente ai servizi di competenza dell’Agenzia, individuando il mese di luglio 2019 come orizzonte temporale. Un giro di parole per dire che da quest’estate scatteranno gli aumenti, ma senza integrazione con i servizi ferroviari: ovvero il bastone senza la carota.

Troviamo così, infine, una singolare (ma in fondo non sorprendente) coincidenza d’azione tra il governo a trazione leghista e cinque stelle e l’amministrazione comunale di Milano, a guida PD: l’uno fa aumentare l’IVA, imposta indiretta e quindi iniqua, e taglia la spesa pubblica; l’altra aumenta le tariffe dei servizi, anch’esse non proporzionali al reddito, e quindi intrinsecamente inique.

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