Dopo più di tre anni di battaglia legale, lunedì 8 luglio è giunta la prima sentenza della causa che vede contrapposti il nostro compagno Luca Marchi e la multinazionale IKEA che l’ha licenziato in tronco oramai tre anni fa.
Già in diverse occasioni, nel corso di questi anni, abbiamo raccontato della caparbietà con la quale Luca ha risposto colpo su colpo al tentativo della direzione Ikea di espellerlo dal suo posto di lavoro.
Un licenziamento, lo ricordiamo, che nasce da una legittima battaglia sindacale che Luca, delegato SGB, stava conducendo per difendere le condizioni lavorative di un gruppo di lavoratrici e lavoratori di ditte in appalto. Ma questa battaglia sindacale aveva, dice l’azienda, spezzato irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra Luca e l’IKEA.
Rapporto di fiducia… sono le parole che vengono usate dalla legge Fornero prima e dal Jobs Act poi (maledetto il jobs act e chi l’ha approvato). Per mantenere la fiducia dell’azienda non devi fiatare, devi semplicemente piegare il capo a qualsiasi schifezza ti venga chiesta. Se non pieghi il capo e per di più organizzi gli altri lavoratori e le altre lavoratrici allora altro che fiducia! Qualsasi lotta sindacale, qualsiasi scontro sociale porta i protagonisti della lotta ad essere “sfiduciati” da parte dei padroni e dei loro lacché. La fiducia dell’azienda è un ossimoro sociale.
La caparbietà di Luca aveva ottenuto un primo successo quando circa due anni fa la giudice del lavoro aveva emesso un’ordinanza di reintegra mai applicata da IKEA.
Ora invece, la stessa giudice del lavoro ha accolto le istanze di IKEA e confermato il licenziamento di Luca condannandolo anche al pagamento di 3500 euro di spese legali dell’IKEA.
Indubbiamente la sentenza è stato un duro colpo sia per Luca, che già da oltre un anno è totalmente senza reddito, che per tutti i lavoratori e le lavoratrici IKEA martoriati/e da anni da uno stillicidio di attacchi (l’ultimo è quello dei quattordici licenziati e 38 denunciati per supposti furti all’IKEA di Corsico) propedeutici ad un piano di ristrutturazione che è nei progetti della multinazionale.
La domanda che viene spontanea è: come mai la stessa giudice che ha chiesto all’azienda di reintegrare Luca è giunta ad una decisione totalmente opposta?
I testimoni portati nel corso delle ultime udienze dall’azienda, non hanno spostato di granché le questioni. In fondo non hanno fatto che confermare episodi e dinamiche già chiari e peraltro mostrati dai video che erano inizialmente stati prodotti. Allora perché?
La spiegazione crediamo venga da diversi fronti.
La prima questione è che attorno alla vicenda di Luca e del suo licenziamento non si è costruita nessuna risposta di mobilitazione adeguata e soprattutto non c’è stata la comprensione da parte dei lavoratori e delle lavoratrici dell’IKEA, del progetto in cui questo si inseriva.
Così dopo una prima debole fase di risposta ci si è affidati al percorso legale. Ma il percorso legale, sempre più spesso, è dalla parte del più forte, soprattutto in assenza di una mobilitazione al livello necessario. Qualcuno può essere fortunato e trovare sul suo percorso un giudice più democratico di altri ma, nella maggioranza dei casi, le leggi che regolano i rapporti di lavoro sono sempre più dalla parte del padrone e i giudici servono per applicare le leggi…
La seconda questione, seppure legata alla prima, è il tempo. Dovere aspettare anni per avere una sentenza di lavoro, mette i lavoratori e le lavoratrici in una situazione di indubbia debolezza. E’ facile per chi maneggia decine di milioni di euro, continuare a costruire trame, utilizzare eserciti di legali prezzolati, fare e disfare testimonianze e soprattutto, mettere chi è oggetto di questi attacchi nella condizione di doversi trovare un altro lavoro per sopravvivere. E se lo trovi, quasi in automatico, la causa si chiude con una mancia da parte dell’azienda al lavoratore o alla lavoratrice che “oramai hanno un altro impiego”.
La terza questione è più complessa. Dicevamo che la ordinanza di reintegra è venuta circa due anni fa. Da allora il clima politico e sociale nel nostro paese è decisamente peggiorato. Il governo giallo-verde con capitan Salvini alla testa, si è prodigato nel costruire una gabbia giuridica funzionale alla repressione feroce delle lotte sociali. La esca dell’invasione degli immigrati è servita per far digerire provvedimenti liberticidi e in alcuni casi smaccatamente anticostituzionali. Il decreto Salvini (e oggi quello bis) portano a compimento l’opera iniziata con il decreto Minniti-Orlando, dando a polizia e magistratura degli strumenti formidabili per reprimere qualsiasi tipo di mobilitazione sociale e politica in piena armonia con i processi di repressione e controllo sociale che si stanno sviluppando in tutta Europa.
Da tempo, nel silenzio più totale dei media mainstream, le lotte che si sviluppano nel settore della logistica (settore centrale per lo sviluppo del capitalismo nostrano) vengono represse con una durezza assolutamente spropositata.
Questa evoluzione negativa è sempre più supportata da un sentimento popolare reazionario che è assolutamente vincente in questa fase (dimostrato in modo evidente dalla continua crescita nei sondaggi, da quella patumiera di reazione che è la Lega di Salvini).
Così è possibile che, proprio nel corso di questi due anni, l’orientamento di chi doveva decidere sulla sorte di Luca, sia stato in qualche modo influenzato dalla pressione degli avvenimenti che hanno attraversato il nostro paese.
Ora, per quello che riguarda, Luca aspettiamo di poter leggere le motivazioni della sentenza che dovrebbe uscire entro novanta giorni, per capire se ci sono i margini per un ricorso. Vedremo, ma intanto prepariamoci comunque a una campagna di solidarietà materiale e, magari, cominciamo ad imparare qualche cosa da quello che ci succede attorno.

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